In questo periodo se ne vedono tante di sponsorizzate sul discorso del peso. Come rimetterti in forma in due settimane. Come perdere peso con 3 semplici mosse. Come ottenere la forma perfetta con il prodotto x. E così via. Credo che oggi, con la consapevolezza che stiamo ognuno di noi sempre di più acquisendo sia davvero molto riduttivo e svilente fermarsi a questo obiettivo nudo e crudo della semplice perdita di chili in più. Oramai anche nel mondo della moda si è capito che le persone “normali” hanno taglie dalla 42 in su. Sempre di più si vedono modelle “normali”. Belle, bellissime donne, ma “normali”. Per carità, anche a me piace la cura dell’estetica, ma è una conseguenza e non certo l’obiettivo principale e soprattutto ognuno ha il proprio giusto peso. La priorità per me è un’altra. Diventare (passami il termine) una “persona migliore”, in salute, sia fisica, sia mentale che spirituale.
Cosa voglio dire?
Non sto parlando di perdere 5, 10, 20, 30 kg, …, non è questo l’obiettivo primario. Poi questo succede come naturale conseguenza di un determinato percorso di vita che si intraprende. Si tratta di una crescita personale. Oggi va molto di moda questo termine, ma quanti sanno davvero che cosa significa? Per quanto mi riguarda ha voluto dire diventare una persona migliore, una persona che non si perde dietro al chiacchiericcio di gossip, al parlar male delle persone, a criticare l’operato altrui, e tanto altro ancora. Per carità può capitare anche me qualche volta di distrarmi con altro, ma non fa parte del mio centro, non rientra nelle mie priorità che sono altre, come ad esempio il concentrarmi sulle mie attività prioritarie, sui miei affetti, sui miei valori, su ciò che davvero conta ed è importante per me. Ho potuto imparare che siamo tutti diversi perché ognuno di noi può avere una personalità più o meno simile a qualcun altro, ma sicuramente ognuno di noi ha un proprio vissuto unico che ha influenzato, influenza ed influenzerà determinate scelte di vita. Quando subisco un torto o quando credo di averlo subito, tolta la fase iniziale di automatica e lecita reazione di contrarietà, passo poi alla fase successiva (in quanto tempo dipende dal mio grado di integrazione) di comprensione della cosa, fino ad arrivare alla compassione (vera e non fittizia) per la persona che in quel momento non ha saputo e non ha potuto agire diversamente. Perché uno dei grandi presupposti della PNL è che ognuno di noi è, e fa quello che può, con i mezzi e le risorse che in quel momento possiede. Sopra ho voluto precisare, quando subisco un torto o credo di averlo subito, perché spesso e volentieri, voglio darti questa notizia, fatta questa analisi si arriva anche alla conclusione che tutto dipende da noi stessi e dalla nostra risposta alle cose che ci accadono. Ecco che per me può essere un torto, per qualcuno un essersi espressi con parole sbagliate, per qualcun altro addirittura una normale spiegazione della cosa, per qualcuno un’opportunità.
Adesso come si ricollega questo con il discorso del peso?
Il nostro modo di affrontare la vita e determinate situazioni genera in noi delle emozioni che possono essere le più diverse. Quando sono negative, una delle possibili risposte, potrebbe essere il cibo che diventa mezzo di appagamento ed ecco qua, che si potrebbero scatenare tutta una serie di abitudini non utili legate ad esso. Questo mi è capitato in un contesto lavorativo in cui non mi trovavo bene perché non mi piaceva l’attività che dovevo svolgere e il clima aziendale era conflittuale. Ad esempio c’era una ragazza, perfezionista sempre pronta a giudicare l’operato altrui che dava per scontate determinate attività che secondo lei qualcun’altro doveva portare avanti. Riteneva le sue ragioni corrette. E la sua modalità di agire era sempre quella dell’attacco verso questa persona che secondo lei non adempieva a determinati compiti. Oggi so che il suo perfezionismo la faceva agire così. Non era un attacco alla persona, ma dal suo punto di vista portava avanti le sue ragioni al fine di migliorare le condizioni lavorative e l’operato aziendale in generale. Oppure un altro collega con una personalità scettica era sempre pronto a creare situazioni di allarme in cui secondo lui c’erano situazioni di pericolo per l’azienda. Faceva parte dell’ufficio acquisti e poteva capitare che avesse delle problematiche sulla reperibilità di alcuni prodotti. La sua reazione di paura lo faceva agire generando situazioni di allarme coinvolgendo colleghi e superiori per ottenere consenso alla sua versione. Ciò che invece creava erano forti situazioni di contrasto con i superiori che reagivano in malo modo a questo suo allarmismo. I superiori per risolvere la cosa davano lo stesso compito anche ad altre persone che normalmente facevano altro affinchè risolvessero la situazione, alimentando ancora di più i contrasti tra colleghi. Tutto ciò generava in me emozioni di frustrazione, rabbia, risentimento. Oggi so che il suo modo di agire era dettato dalla sua personalità scettica, dalle sue paure in generale. Chi stava sopra di lui non aveva questa capacità di lettura e si faceva prendere dal panico di dover risolvere la situazione a tutti i costi.
Con questo cosa voglio dire?
Che spesso la nostra reazione alle situazioni ci può provocare delle emozioni negative. Queste ci potrebbero procurare un desiderio di risolverle con la prima cosa che abbiamo a portata di mano che ci procura benessere immediato. E potrebbe essere il cibo. Allora che fare?
Per prima cosa, modificare le abitudini non utili e ristrutturare il legame cibo-emozione che diversamente continuerebbe ad alimentare l’abitudine non utile. Ed ancora più a monte però, lavorare sulla persona, per far si che si diventi “persone migliori”.
Un altro esempio che voglio fare è quello legato alla famiglia di origine. Tutti noi abbiamo interagito con persone con cui siamo cresciuti, chi con una famiglia, chi con delle persone che hanno fatto da veci, chi con amicizie. Questo ha comportato un imprinting dettato da queste persone, che hanno fatto ciò che potevano, con i mezzi e le risorse che in quel momento possedevano. Qui non si sta parlando di avere 4 lauree o essere qualcuno che ricopre un ruolo di rilievo nella società, ma si sta parlando di come affrontare la vita, di quello che è giusto o è sbagliato e di determinate paure che ci possono essere state trasferite e che vanno a condizionare le nostre scelte sul fare o non fare determinate cose. Ecco che allora da grandi potremmo avere difficoltà ad interagire con gli altri se da piccoli ci è stato tramandato, ad esempio, di non dare confidenza agli estranei. O potremmo avere paura ad uscire fuori dal contesto familiare ad intraprendere con indipendenza la nostra vita, se siamo stati troppo coccolati. O paure varie in generale. Con questo si vuole semplicemente porre l’accento sul fatto che ci portiamo dietro dei condizionamenti che ci sono stati trasmessi e che magari non ci appartengono. Ecco che allora potrebbe capitare di aver vissuto in un contesto in cui la definizione dei ruoli madre/padre era molto netta e avere una sorta di rifiuto da grandi per queste persone che ci richiamano determinate situazioni. L’esempio potrebbe essere quello dell’uomo che, in casa, fa solo determinati lavori più maschili e della donna che si occupa più della cucina e delle pulizie ordinarie. Tutto ciò può generare nelle persone degli stati di malessere che rifiutano questa modalità che si sta presentando nella propria vita e che richiama quella già vissuta da piccoli, ma non tutti hanno quella consapevolezza da identificarne le cause e circoscriverne gli effetti. Ecco qua che queste cose ci possono procurare insoddisfazione e generare emozioni, le più diverse. Anche qui vale quanto detto sopra. Una delle possibili risposte a queste emozioni potrebbe essere il cibo, vissuto come mezzo di appagamento, ecc. Ed allora anche qui la soluzione è senz’altro quella di modificare quelle abitudini non utili che nel frattempo abbiamo generato per nostro benessere immediato e andare a ristrutturare il legame cibo-emozione e poi lavorare più a monte sulla persona, per far si che si superi determinati condizionamenti passati che comunque si sono generati per una risposta positiva.
Ciò che emerge qua da entrambi gli esempi è che la nostra risposta è sempre positiva, il nostro inconscio responsabile delle nostre abitudini, ci fa andare verso situazioni che ci procurano benessere immediato. È il mezzo che scegliamo che potrebbe non essere quello giusto. Perché quando il mezzo che scegliamo è il cibo, avremo pure un benessere che è un senso di appagamento, ma sicuramente è temporaneo e collegato ad esso ci sono tutta una serie di effetti collaterali che ci danneggiano, quali la digestione più faticosa, l’energia più spenta, lo stomaco pieno, la pancia gonfia, più pesantezza a livello cerebrale oltre che fisico, per non parlare poi di quelli collegati alla salute in generale e, nel lungo periodo, quelli legati al peso che aumenta e tanti altri ancora. Pertanto, ora che sappiamo come funziona, sappiamo che dobbiamo dare all’inconscio benessere immediato e quindi l’esercizio sarà andare a trovare, ognuno per sé, quella cosa o quelle cose, quei pensieri che ce lo procurano. Si perché non necessariamente si deve sostituire un mezzo con un mezzo, anzi spesso è più utile fare altro.
Pertanto voglio concludere rimarcando che l’obiettivo primario non dev’essere quello di perdere peso, ma aumentare la nostra consapevolezza e far si che otteniamo prima di tutto una crescita personale. La perdita di chili in più, sarà una normale conseguenza. E soprattutto un risultato che, a quel punto, rimane per sempre.
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Francesca Santarelli
Coach e Trainer di PNL
Coach e Trainer del metodo Giusto Peso Per Sempre
Francesca Satarelli
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